GIOCHIAMO A CAPIRCI?
CONFLITTI E MEDIAZIONE IN FAMIGLIE IN VIA DI SEPARAZIONE CON FIGLI
Giochiamo a capirci?
Scommetto che questa frase, o altre dal medesimo significato, sia stata detta o ricevuta dal proprio partner durante una discussione o un litigio. In modo sarcastico è come se si chiedesse all’altro di fermarsi, di interrompere eterni giri in tondo, di provare per un attimo a cambiare il proprio punto di vista, di allargare solo un po’ prospettiva, di provare a comprenderci e, perché no, di ascoltarci. Ecco, ascoltare. Ma come possiamo ascoltare l’altro se siamo arrabbiati, delusi, impauriti, frustrati e legati ai fatti?
Quando siamo protagonisti di un conflitto potremmo trovarci nella situazione di vivere un “sequestro emozionale” e la nostra “intelligenza emotiva” potrebbe non essere efficace al cento per cento (Quattrocolo & D’Alessandro, 2021). Di fatto, quando ci si “chiude la vena”, oltre ad avere conseguenze fisiche evidenti viviamo anche conseguenze psicologiche come per esempio una scarsa consapevolezza dei vissuti propri ed altrui, una scarsa consapevolezza nella gestione degli agiti, una scarsa capacità di sentire l’altro e di gestire l’interazione con l’altro. Figuriamoci se questo conflitto avviene all’interno di un processo di separazione o divorzio, più o meno conflittuale, che comporta comunque l’elaborazione di un lutto. Come possiamo davvero “giocare a capirci” in un panorama così complesso?
È proprio qui che possono entrare in gioco la figura del mediatore familiare e l’intervento di mediazione familiare come strumenti utili all’ascolto e al cosiddetto “dissequestro emozionale e cognitivo”.
Giochiamo a capirci? Potrebbe anche essere una domanda che il conduttore di un Gruppo di Parola per figli di genitori separati (Marzotto, 2011) porge proprio a loro. Il conduttore, con un atteggiamento empatico e delicato, chiede ai figli di genitori separati di giocare insieme a lui ed ad altri bambini o ragazzi che stanno vivendo la stessa sua situazione. Giocare a capire cosa sta succedendo dentro e fuori di loro: cosa sta succedendo a mamma e papà, cosa succede a loro, come si sentono, come vivono lo stravolgimento della loro routine e delle loro abitudini.
Utilizzare il gioco permette di affrontare ed esplicitare a se stessi e ai genitori tematiche salienti nello sviluppo emotivo e relazionale e grazie a questo strumento è possibile farlo in modo meno diretto e più delicato rispettando le tempistiche di ognuno.
La mediazione familiare raramente prevede la presenza dei figli durante i vari incontri. Questo spazio dedicato ai figli potrebbe però essere offerto da altri mediatori familiari o psicologici in modo da offrire loro un percorso parallelo a quello dei genitori.
Credo possa essere interessante soffermarsi un attimo sui dati ISTAT relativi a matrimoni e separazioni. Secondo le fonti ISTAT nell’anno 2019 sono stati celebrati in Italia circa 184.00 matrimoni e nello stesso anno poco meno di 97.500 coppie si sono separate: nel 2019 si sono separate più della metà delle coppie che nello stesso anno si sono sposate. Rimangono fuori da questi numeri, ovviamente, le coppie che non sono unite in matrimonio ma che hanno comunque figli e decidono di convivere e/o separarsi. Le libere unioni sono sempre più diffuse e, sempre secondo i dati ISTAT, nel 2019 un nato su tre ha genitori non coniugati. Di fatto, non essendoci un contratto regolato giuridicamente, anche se sono presenti minori all’interno nucleo, la famiglia non verrà intercettata dal Tribunale (come accade invece per le separazioni anche consensuali con figli). Sono tante, dunque, le coppie e i figli che intraprendono questo viaggio ma non possiamo sapere quanti di loro lo iniziano senza avere una “valigia degli attrezzi” pronta all’uso o senza nessuno che li sostenga nel prepararla.
Il filo conduttore del nostro viaggio credo che si possa ravvisare nell’importanza di offrire alla coppia con figli in via di separazione il riconoscimento dei propri vissuti e la libertà di scegliere come gestire il proprio conflitto ed eventualmente di utilizzare, con tutti loro, strumenti relazionali come facilitatori della comunicazione (che però approfondiremo in uno dei prossimi articoli).
Il focus degli interventi è quindi la cura dei legami familiari, nonostante la separazione e i cambiamenti di status e di ruoli. Il passaggio mentale e psicologico da coppia unita a coppia separata, durante il processo di mediazione, dovrebbe avvenire rispettando i tempi della famiglia e all’interno di un setting adeguato ad ogni membro.
Con questi semplici accorgimenti si può preparare lo spazio mediativo per permettere ai mediandi, se lo desiderano, di mettersi in una posizione utile per riconoscersi l’uno con l’altro e per passare da un’identità individuale e familiare ad un’altra. La stesura dell’accordo passa dunque in secondo piano perché anche nei diversi punti che lo compongono (organizzativi, economici, educativi, ecc.) vi è una forte compenetrazione dei vissuti personali e delle dinamiche conflittuali.
Il conflitto, latente o manifesto, è all’ordine del giorno, ma non bisogna considerarlo per forza come un elemento distruttivo e mortale per la famiglia. Infatti, in sé, il conflitto non ha un valore positivo o negativo: è necessario per la crescita e per il cambiamento. Per questo risulta importante saperlo gestire e non cercare strade per evitarlo. Grazie al conflitto le relazioni si possono rafforzare e non vengono sicuramente distrutte.
Gestire un conflitto significa riconoscere le differenze dell’altro, compito per niente facile.
È qui che il mediatore può aiutare la coppia, se disposta a farlo, a gestire il conflitto in modo costruttivo e generativo.
Definirei, invece, il mediatore come una figura che si è formata tramite un percorso specifico e ha sostenuto un esame di abilitazione. Nel processo mediativo ha il ruolo di terzo equidistante, rispettoso del vincolo di riservatezza e confidenzialità ed è in grado di lavorare tramite l’ascolto attivo e l’empatia. È un facilitatore della comunicazione che adatta gli strumenti alle famiglie e non viceversa. Lascia a loro le decisioni, lavora sull’empowerment delle parti, non fa valutazioni né diagnosi e non offre soluzioni.
Grazie alle definizioni legislative e specifiche della materia (Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 21 gennaio 1998, legge n° 54 del 2006 in materia di Separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, Direttiva Europea sulla mediazione del 21 maggio 2008 e Disposizioni del Consiglio per la Mediazione Familiare in Inghilterra e Galles (FMC)), si può definire la mediazione come un procedimento volontario di gestione del conflitto e di risoluzione delle controversie, come un nuovo modo per gestire le “battaglie” familiari in modo che siano meno dispendiose per gli attori coinvolti (coppia, figli, parenti) in termini di energie emotive ed economiche. Queste normative definiscono gli obiettivi prioritari della mediazione familiare che tengono conto dell’importanza della cura dei legami familiari e di un intervento volto alla salvaguardia del benessere dei figli.
Cura dei legami | Benessere dei figli |
– promuovere nella coppia un atteggiamento consensuale per ridurre il conflitto; – ridurre al minimo le conseguenze negative della separazione/divorzio dal punto di vista civile e familiare riducendone i costi economici e sociali; – facilitare la creazione di relazioni, attuali e future, costruttive tra gli attori coinvolti riducendone la conflittualità; – ammettere e comprendere l’espressione di emozioni e sentimenti delle parti; – assistere le parti al fine di aiutarle a raggiungere soluzioni per loro idonee. |
– proteggere e considerare gli interessi dei minori anche se non coinvolti direttamente nella mediazione – ridurne la sofferenza ed eventuali abusi; – mantenere vivi i rapporti tra i membri della famiglia, in particolar modo quelli tra genitori e figli. |
Dott.ssa Mariotto Ilaria per tra.ME